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Channel: La Trappola Golosa
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Minestra maritata di Marcianise

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Preparazione lunga e complessa, opulenta e calorica, fortemente radicata in questa mia terra di grandi contraddizioni, piatto che rappresenta la Pasqua e rigorosamente preparato solo in occasione di questa solennità, di tradizione e origine povera ma generoso di ingredienti che messi insieme danno origine a una sinfonia di sapori da renderlo un piatto ricco perché protagonisti un po’ tutto il quinto quarto del maiale che si marita con le verdure, le uova e il formaggio.
Un bel po’ complicata, quasi un rito, con preparazioni che cominciano anche molti giorni prima dell’esecuzione della ricetta, preparazioni che solo i vecchi della mia città conoscono e custodiscono come antichi segreti da tramandare solo a chi è degno di continuare con rispetto, riconoscenza e fedeltà.
Orecchie, muso, cotiche e piedi di maiale da mettere sotto sale e definiti nel gergo comune semplicemente col nome di “salato”
Poi la ‘nnoglia, un salume fatto con ventre e intestini, lavati e rilavati, conditi e sottoposti a una sorta di insaccamento e posta ad asciugare.
La salsiccia di polmone, l’altra salsiccia, quella povera, fatta con tutti gli scarti,quelli che si sarebbero dovuti buttare, ma...
E le verdure solo due di cui una tutta nostra, che chiamiamo menestra (attenzione alla "e"); appartenente alla famiglia delle brassicaccee, con un sapore tra il cavolo nero e i broccoletti,coltivata solo nell'area  della terra felix.



Preparazione della ‘nnoglia
Ventre e intestini del maiale
Arance e limoni
Peperoncino
Aglio
Semi di finocchietto
Sale
Raschiare intestino e ventre internamente ed esteriormente, strofinarli tra le mani prima con farina di mais e poi con sale, sciacquarli ripetutamente prima con acqua calda e poi con acqua fredda  e metterli in un recipiente con arance e limoni a pezzi. Ripetere questo procedimento due volte al giorno per un paio di giorni, e comunque fino ad aver eliminato tutti gli odori tipici degli intestini.
Ora ottenere da questi delle strisce lunghe 50/60 cm e larghe circa 2 cm, tamponarle con un telo pulito, condirle generosamente con sale,  aglio, peperoncino e finocchietto. Legarle a piccoli gruppetti a un’estremità con dello spago, intrecciarle e insaccarle in un budello della stessa lunghezza  tenendo teso lo spago da un lato e dall’altro facendo scorrere giù tutto il budello senza chiuderlo. Appenderle in un luogo areato e all’ombra e ogni paio di giorni tamponarle con un telo pulito schiacciandolo verso il basso per far fuoriuscire tutti i liquidi. Riappenderle e continuare cosi ogni paio di giorni fino a eliminare tutti i liquidi. Ora lasciar  continuare l’essicazione naturale  per almeno 15 giorni.
Per le foto dettagliate potete dare una sbirciata qui, curate da un altro figlio della mia terra.


Preparazione del “salato”
Ridurre orecchie, muso, piedi e qualche cotica a pezzi più o meno della stessa dimensione, pulirli asciugarli bene e adagiarli in un recipiente di vetro o terracotta alternandoli a strati con aglio in pezzi, peperoncino, alloro, sale grosso e sale fino. L’ultimo strato coprirlo interamente con sale grosso e  lasciarli cosi per almeno 20 giorni.



La salsiccia di polmone
La salsiccia di polmone anticamente era fatta proprio con il polmone; oggi è caduta in disuso perché norme sanitarie ne vietano la preparazione. Quella che si trova oggi nelle macellerie locali è fatta con pancetta e altri pezzi meno nobili del maiale, ma condita alla maniera antica e cioè con molto aglio e peperoncino, insieme finocchietto sale e vino fragolino.
E anticamente?
Quando si ammazzava il maiale si prelevava il polmone insieme a cuore, reni e fegato, dopo la pulitura ci si soffiava dentro (si proprio così, un bel soffio fatto proprio a pieni polmoni) si lasciava asciugare all'aria un paio di giorni e poi si riduceva a piccoli pezzi aggiungendoci scarti che provenivano da parti più nobili. 



Ingredienti per 4 persone
750 g di cicoria
750 g di menestra
300 g di ‘nnoglia
200 g di salsiccia di polmone
200 g di salsiccia fresca
400 g di “salato”
100 g di pancetta arrotolata
200 g di pecorino
6 uova
1 cucchiaio di sugna


Prepariamo ora la minestra maritata
La cicoria, specialmente quella di campo, è molto amara e per questa caratteristica bisogna lasciarla molto in acqua, sia prima che dopo averla sbollentata. Lavarla e lasciarla in acqua pulita almeno un ora, sbollentarla, scolarla e raffreddarla sotto acqua corrente, infine metterla in un grosso recipiente e coprirla con altra acqua. Lasciarla così anche quattro cinque ore.
Lavare la menestra e tuffarla in acqua bollente per 10 minuti, scolarla, raffreddarla sotto acqua corrente e lasciarla in un colapasta.
In una pentola a parte sbollentare i pezzi di “salato” per cinque minuti, scolarli e ripetere cosi l'operazione per altre due volte allo scopo di dissalarli e sgrassarli bene.
In un tegame di terracotta sciogliere la sugna e farla soffriggere con la punta di aglio, aggiungere dell'acqua calda e alla ripresa del bollore calare i pezzi di salato, la ‘nnoglia, la salsiccia di polmone, quella fresca e qualche pezzetto di pancetta lasciar cuocere per 30 minuti. Aggiungere le cicorie e la menestra scolate e lasciar cuocere altri 30 minuti. Se occorre aggiustare di sale.
In una terrina sgusciare le uova, salarle leggermente, aggiungere un po’ di pecorino grattugiato e batterle, poi aggiungere il resto del pecorino ridotto a piccoli pezzi. Togliere i pezzi di maiale dalla minestra e tenerli in caldo. Una parte del battuto di uova versarlo nella minestra, girare con una forchetta per ottenere una mimosa, poi versare il resto delle uova sulla superficie, coprire il tegame, lasciar cuocere un minuto circa, spegnere, adagiare sopra i pezzi di maiale e attendere almeno 1 ora prima di servire.


Amici cari dell' MTC sinceramente, come tanti di voi, quando ho visto la proposta di Cristiana per la sfida n 38, ho avuto un po' di disgusto riguardo il quinto quarto. Riesco a mangiare a malapena solo i durelli di pollo, non oltre, non di più e stavolta fantasia e inventiva mi avevano davvero abbandonata. Poi c'è stata tutta una rielaborazione in me riguardo il mio rapporto con questo universo a me lontano, mi sono sentita talvolta in crisi e perfino senza identità. Ma che food blogger sono se non riesco a cucinare il quinto quarto? Ma come posso io approfondire le mie conoscenze riguardo il cibo se escludo questo capitolo?
No ragazzi, credetemi, stavo per arrendermi.
Poi qualche giorno prima della Pasqua ho avuto la mia folgorazione "sulla via di Damasco", la mia ri-conversione e il mio ricredermi riguardo il quinto quarto. Stavo per accingermi insieme a mia madre a iniziare le lunghe preparazioni del nostro piatto della Pasqua che ha come protagonista proprio il quinto quarto!!!
Un piatto che mangio volentieri, che amo, che senza di esso, oserei dire, non sarebbe Pasqua.
E allora le mie lampadine che luccicavano, il mio sorriso ritrovato che ormai  era tanto più cupo quanto più si avvicinava il 28.
E allora lo propongo per la sfida dell'MTC del mese di aprile ringraziando Cristiana e quanti ogni mese condividono con me questa bella avventura!



For the MTChallenge n 39: IL BABA'

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Da quando partecipo all’MTC non mi sono persa mai una proclamazione, mai un 28 del mese che fossi uscita, mai che alle 21:00 non mi fossi incollata allo schermo. Ora invece me ne esco, dimentico il cellulare e rincaso poi beatamente pensando che quando tutto è sistemato, quando la peste dorme,  quasi quasi accendo il computer per vedere un po’ chi ha vinto. Quando tutto è ormai organizzato nella mia testa, neanche il tempo di girare la chiave che vengo travolta dalla ciurma di figli che con voci che si sovrappongono mi dicono di aver ricevuto tanti messaggi, che qualcuno mi ha telefonato…..Nella mia testa un terremoto di pensieri mi invade e poi realizzo. Controllo ed è così. Sorpresa, incredulità, emozione, preoccupazione, vuoto, smarrimento, felicità; tutto questo in un nanosecondo!
Inizio poi a saltare come una bambina, mi scaravento addosso a mia madre che è sdraiata sul letto e sopra di me con un tuffo ne arrivano altri due. Una casa chiassosa ed euforica dove ogni mio caro è consapevole di quello che sto provando e condivide.
La notte ho dormito beatamente sognando sartù, timballi, supplì, gattò, parmigiane, genovesi e ragù.
E poi anche pizze a libretto, calzoni e graffe.
Ma la mattina il mio primo pensiero è stato per il babà.
Nella mia casa si respira il profumo del lievito da sempre, ne sono impregnati i teli e le tovaglie, la farina nella credenza possiede già questa memoria, e talvolta lo sento anche quando sorseggio il caffè.
Nonne, zie, mamma ed io. Vite passate a impastare, generazioni che si tramandano antichi segreti insieme a un vasetto di lievito, come scrigni pieni di tesori preziosi. Il forno nei cortili in attesa delle fascine, la madia sempre pulita e il setaccio appeso a un grosso chiodo proprio sopra il sacco con la farina.
Questa è stata sempre la mia vita, questi i miei ricordi, questo il mio presente.
Nella mia terra non c’è un complimento più gradito che dire: si comm o' babbà. Tu sei come un babà: dolce, succoso, aromatico, leggero e soffice.
Come già è stato detto da chi mi ha preceduta, auguro ad ognuno  di vincere almeno una volta nella vita l’MTC. Un’emozione che ho paragonato al mio primo bacio. Mi si direbbe: il matrimonio, la nascita dei tuoi figli, la discussione della tesi ? Si anche questi sono grandi traguardi nella vita di una persona, ma il primo bacio è tutt’altro. E’tutto insieme uno scambio di emozioni, un linguaggio fatto di intese e vibrazioni, un dare e avere profondo e coinvolgente, un sigillo che si imprime dentro.
E tutto questo per me è l’MTC e l’aver vinto la sfida n.38.
Raccolgo il saluto e l’augurio di Cristiana col cuore gonfio di gioia e vi dico: godetevi questo momento.
Un babà soffice, spugnoso e profumato vi regalerà emozioni impareggiabili! (Soprattutto il giorno dopo)


Versione con lievito di birra 
Ingredienti
300 g di farina bio tipo 0 Manitoba
3 uova cat a grandi
100 g di burro
100 g di latte
25 g di zucchero
10 g di lievito di birra
½ cucchiaino di sale fino

Lievitino
Sciogliere il lievito di birra con 50 g di latte tiepido e 1 cucchiaino di zucchero e impastarli con 70 g di farina, tutti presi dal totale degli ingredienti. Lasciar lievitare fino al raddoppio, coprendo la ciotola con un telo inumidito.
Primo impasto

Versare in una ciotola il resto della farina (230 g), fare la fontana, versarci il lievitino e le tre uova. Impastare schiacciando ripetutamente nella mano l’impasto per amalgamare le uova e aggiungere un cucchiaio alla volta di latte per ammorbidirlo un po’, man mano che se ne senta la necessità, facendo attenzione a non renderlo molle; poi impastare energicamente, sbattendolo verso la ciotola per una decina di minuti. Coprire e lasciar lievitare per 80/90 minuti e comunque fino al raddoppio.

Secondo impasto

In una ciotolina lavorare il burro a pomata, impastandolo con il restante zucchero (20 g) e il sale. Aggiungerlo al primo impasto  una cucchiaiata alla volta facendo  assorbire bene  prima di aggiungere  la successiva. Lavorare per 5 minuti nella ciotola, poi ribaltare l’impasto su un piano da lavoro e iniziare a lavorare energicamente piegandolo e sbattendolo più volte per 15/20 minuti. Qui bisogna avere tenacia e resistenza perché questa è quella fase in cui è possibile ottenere un babà spugnoso e morbido, capace di assorbire e trattenere la bagna.
Quando inizierà a staccarsi dalle mani e piegandolo manterrà una forma tondeggiante, senza collassare e vedremo l’accennarsi di bolle d’aria il nostro impasto è pronto.

 
Per poterlo sistemare agevolmente nello stampo preventivamente imburrato, staccare dalla massa dei pezzi di pasta schiacciandoli con pollice e indice, come volessimo strozzarli, ottenendo così 6 palline.
Una volta completato il giro, con l’indice  sigillare gli spazi tra una pallina e l’altra, coprire con un telo umido e lasciar lievitare in forno spento con luce accesa per 2 ore, fino a triplicare di volume.
Accendere il forno  a 220°, raggiunta la temperatura infornare, abbassare a 200° e cuocere per 25 minuti.
Dopo circa 10 minuti di cottura coprire con un foglio di alluminio, per evitare che la superficie scurisca.
A cottura ultimata lasciar intiepidire per 15 minuti e capovolgere il babà possibilmente in una ciotola larga e bassa.




Versione con il Lievito madre e lievito di birra 
Ingredienti
280 g di farina bio tipo 0 Manitoba
3 uova  cat a grandi
100g di burro
90 g di latte
25 g di zucchero
50 g di lievito madre rinfrescato
10 g di lievito di birra
½ cucchiaino di sale
Primo impasto
Versare in una ciotola 120 g di farina, fare la fontana, aggiungere 1 uovo, il lievito madre, lo zucchero e 30 g di latte tiepido. Impastare, coprire con un telo umido e attendere il raddoppio.
Secondo impasto
Versare in un'altra ciotola la restante farina (160 g), aggiungere il primo impasto e 1 uovo, sciogliere bene e amalgamare, poi incorporare il secondo uovo, Impastare  energicamente per 10 minuti, battendo contro i bordi della ciotola e aggiungendo man mano del latte a cucchiaiate. Sciogliere il burro a bagnomaria o in un microonde e versarlo a filo sull’impasto, incorporandolo lentamente. Per ultimo, in una tazzina “impastare” il lievito di birra con il sale finché diventa una cremina  liquefatta e aggiungere anche questa alla massa. Una volta incorporati tutti gli ingredienti, ribaltare l’impasto su un piano da lavoro e lavorare come descritto nel precedente procedimento.
Ricavarne 11 palline e sistemarle negli stampini monoporzione precedentemente imburrati. Ogni pallina deve arrivare a metà altezza dello stampino. Sistemarli in una teglia e lasciar lievitare in forno spento con luce accesa fino a quando triplicano di volume, fuoriuscendo dal bordo superiore formando una calottina di circa 2 cm.


Preriscaldare il forno a 200°, infornare, abbassare a 180° e cuocere per 20 minuti. A metà cottura coprire con un foglio di alluminio.
A cottura ultimata lasciar intiepidire per 10 minuti, staccarli delicatamente dagli stampini (basta reggere lo stampino con una mano e con l’altra tirare e contemporaneamente roteare leggermente la calottina) e adagiarli in una ciotola larga.



Per la bagna
1 lt di acqua
400 g di zucchero
1 limone
Versare l’acqua in una pentola, aggiungere lo zucchero e la scorza di limone, evitando accuratamente la parte bianca e lasciar sobbollire per 10 minuti.
Spegnere, lasciar intiepidire, passarlo attraverso un colino a maglie strette e versare sul babà ancora tiepido. Ogni 15/20 minuti, aiutandosi con un mestolino, raccogliere lo sciroppo sul fondo del babà e irrorarlo di nuovo. Continuare così finché non si presenta ben inzuppato e tratterrà lo sciroppo più a lungo, cedendolo sempre più lentamente. Adagiarlo su un piatto da portata, facendolo scivolare con molta attenzione.
Per i babà monoporzione il bagno sarà simile; dopo aver  versato lo sciroppo sopra, rigirarli dentro di esso ogni 10/15 minuti e comunque finché al tatto non abbiano la consistenza di una spugna inzuppata. Scolarli dallo sciroppo e adagiarli su un piatto da portata.

Crema pasticcera al limone
250 ml di latte
2 tuorli
2 cucchiai colmi di zucchero
2 cucchiai rasi di farina
1 limone
30 g di burro
Scaldare il latte e spegnere quando accenna a bollire.
Mettere a scaldare la pentola con l’acqua che servirà da bagnomaria per cuocere la crema.
Nella pentola dove invece cuoceremo la crema mettere i tuorli, lo zucchero e la farina setacciata; con una frusta amalgamarli energicamente e incorporare il latte versato a filo, continuando a mescolare. Passare nel bagnomaria a fuoco dolcissimo.
Tagliare il limone a tre quarti, infilzarlo su un forchettone e con questo girare la crema mentre cuoce.
Girare sempre nello stesso verso, senza mai fermarsi per almeno 15 minuti e comunque fino a quando non avrà raggiunto la densità desiderata. Spegnere, aggiungere il burro e incorporarlo con la frusta. Lasciar raffreddare girando di tanto in tanto. Sistemare la crema in un sac a poche e tenerla in frigo fino al momento dell’utilizzo.


Completiamo il babà
250 ml di rhum
100 g di amarene sciroppate
3 cucchiai di gelatina di albicocche
Scolare dal piatto lo sciroppo che sarà colato dal babà. Irrorarlo con il rhum a proprio piacimento, spennellarlo con la gelatina di albicocche precedentemente sciolta a fuoco lentissimo, decorare con ciuffi di crema pasticcera e completare con le amarene sciroppate.



Per ottenere un buon lievitato la qualità degli ingredienti utilizzati deve essere la migliore. Io ho usato uova freschissime, burro danese, zucchero finissimo (no a velo) e farina bio. Non faccio pubblicità di nessun tipo, ma riguardo la farina ci tengo a precisare che ho utilizzato la Manitoba 0 della Ecor. Per chi non la trovasse può guardare la tabella e scegliere una farina che abbia il 14/15% di proteine (la mia 14.4).
Consiglio riguardo i limoni reperirli freschi, appena raccolti, perché ricchi di oli aromatici che passeranno nella crema e nello sciroppo.
E per ottenere un ottimo babà spugnoso la fase essenziale è l’impasto: deve essere energico e lungo come ho precisato nella prima versione, senza desistere, fermarsi solo quando questo si stacca dalle mani, lasciandole pulite, quando accenna a fare le prime bolle, quando è sostenuto e tondo come una palla.
Il piano da lavoro dove impastare non deve essere di legno ma di marmo o altra pietra naturale, meglio ancora materiali plastici duri.



Forse qualcuno si chiederà ora perché abbia usato nella seconda versione del lievito di birra insieme al sale. Tutti sanno che questo non si fa, il lievito non va mai mischiato al sale perché questo blocca la fermentazione e nella fattispecie ammazza i saccaromiceti.
Però questa piccola stranezza nasce da un errore. Tempo fa leggevo che il sale inattiva il lievito di birra, non gli permette di avviare una fermentazione, però in un impasto con Lievito Madre, questa pappetta, definita scientificamente glutatione, permette di inglobare anidride carbonica sviluppando gli alveoli visto che questi sono sempre così difficili da ottenere in un lievitato con pasta madre.
Ma dov’è il mio errore? Il glutatione si sviluppa dopo mezz’ora di riposo di sale e lievito ed io questo passaggio l’avevo saltato, l'aggiungevo subito. Però visto che procedendo così comunque ho sempre ottenuto dei buoni risultati, preferisco continuare.

MTC n 39; il vincitore è..................

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Un anno intero non mi basterà per rileggere con calma tutti i post e fare tutte le ricette di bagne, creme, gelati, sciroppi e gelatine di cui ho preso nota sul mio quaderno dedicato all'MTChallenge, rubato al seienne di famiglia (sono organizzata, credevate che tenessi tutto su foglietti sparpagliati? Allora sbagliavate!). Un'avventura come questa mai l'avrei immaginata; io che sono un tipo che frequento poco i blog, ora come se avessi dovuto scontare una pena, sono stata sottoposta a questa piacevole ed emozionante legge del contrappasso, dove gli ho dedicato un mese intero della mia vita. Appena saputo della mia vincita avvisai in famiglia di lasciarmi stare fino a questo giorno e di non contare su di me; tutti si sono arrangiati, tranne il seienne, che in piena fase di perché mentre ero assorta a leggere e commentare, lui imperterrito continuava con le sue solite domande tipo: (dopo un discorso serio di giorni prima che il colombino dona il suo semino alla colombina....) mamma ma se la papera becca il semino dalla ciotola, i paperotti che nascono non sono figli di papà papero? 
Io ignara e distante, assente e indifferente e il diciasettenne ne approfittava per godersela con risposte tipo: sì è così, infatti quando sono nato io mamma mangiava tanti semi di zucca, e sono figlio solo di mamma. 
Con questo per dirvi che per l'MTC sono arrivata perfino a tradire quel mio principio di essere chiari con i bambini a tutti i costi, di dare sempre le risposte giuste nel momento giusto alle loro damande, anche quando queste sono imbarazzanti o premature. 
Ma siamo giunti al termine, depongo la mia veste di giudice, riprendo il grembiulone bordeaux, mettetevi comodi miei cari amici che arriviamo al vincitore........... 
Avrei voluto premiare ex-aequo un centinaio di ricette per l'equilibrio dei sapori e la perfezione negli abbinamenti, la maestrìa nell'esecuzione ma questo non si puo'; mi hanno rapita i sapori speziati, dove ho incontrato perfino il peperoncino,floreali, del sottobosco, delle erbe e della frutta passando per l'orto dove ho incontrato la lattuga; mi hanno rapita decine e decine di ricette solo per la perfezione dell'alveolatura dell'impasto; ho ammirato le ricette gluten free, perchè conosco la difficoltà che si affronta per arrivare all'incordatura; avrei ancora voluto premiare ex-aequo chi mi fa battere forte il cuore, perché quei loro babà più della bagna sono intrisi della nostra amicizia e proprio in virtù di questa hanno scritto dei post che mi hanno fatto letteralmente scorrere lacrime di emozione: Francy con la sua crema alla mozzarella, esattamente quello che avrei fatto io; Pasquale, che dice sempre di non aver pazienza con i dolci ma se l'è cavata brillantemente con la sua crema alla pastiera; Valeria, con la ricotta e pere-anche lei avrebbe voluto utilizzare la mozzarella ma non avendola potuta reperire, ha ripiegato sulla ricotta, e che felice e riuscito ripiego! ; Fabio e Annalù che con il babà hanno ricreato un Vesuvio in eruzione e con gli sbuffi di fumo; Spery con un babàsemplice ma bello come lei, che ha fatto di questo dolce il suo vessillo e il suo segno distintivo, dando con questo, il nome al suo blog e che è stato sempre il fine pasto costante (preparato magnificamente da lei) delle nostre serate conviviali. 
Ma nonostante tutte queste motivazioni sentimentali, razionali, logiche; nonostante un quaderno intero pieno di appunti e citazioni; nonostante vicinanze con il mio mondo e il mio modo di fare... il mio pensiero costante, istintivo e inconscio andava sempre a lei, a Tiziana del blog L'ombelico di Venere!!! Dapprima con il suo Chery&Rose Babà e poi con il Babà al sambuco con crema alla fragola e gelatina allo zenzero. Un lavoro durato cinque giorni preparando sciroppo di ciliegio e sciroppo di sambuco per le bagne, pectina di mele verdi, acqua di rose, gelatina allo zenzero; dopo tutto questo lavoro mi sono meravigliata come non avesse preparato lei lo yogurt per la crema e come mai non avesse completato con ciliege sciroppate o caramellate anziché delle fresche. Ora restiamo solo in attesa della ricetta del liquore alle foglie di ciliegio selvatico, che le ha promesso la mamma della sua amica. 
Competenza, bellezza, equilibrio, amore, saggezza antica tutto racchiuso in queste sue preparazioni e tutto donato a noi con umiltà, chiarezza e semplicità! Una donna che mi ha rapita e che spero presto di poter abbracciare e aggiungere alla nostra tavolata di blogger.
Tiziana passandoti il testimone e come mi disse un mese fa chi mi ha preceduta, goditi questo momento, è tutto tuo! 
Da te ci aspettiamo ora una coccola golosa capace di arricchirci più di una scuola di cucina o di pasticceria.
Mi avete dato tanto, mi avete arricchita più di quanto io abbia fatto con voi, me ne esco con una nuova esperienza di vita che custodirò sempre tra i miei tesori più preziosi.
Grazie!!!

Babà salato

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Si è appena conclusa da una settimana la mia avventura con l'Mtc che mi ha visto prima vincitrice con la minestra maritata e poi come giudice delle numerosi interpretazioni del babà che ho dato io come ricetta pista.
Per chi ancora non conoscesse l'Mtc, cerco di spiegarlo brevemente. 
E' una sfida gastronomica tra blogger, aperta anche a chi ha voglia di mettersi in gioco pur non avendo un blog,che si ripete ogni mese.
Il vincitore del mese propone la ricetta o l'ingrediente  che diverrà poi il tema della sfida del mese. Ogni partecipante propone poi le sue interpretazioni personali che verranno poi "giudicate" dal vincitore che decreterà il nuovo vincitore il quale a sua volta darà il nuovo tema.
Ma oltre le interpretazioni, oltre la ricetta in se, sul blog dell'Mtc c'è molto altro. Il tema trattato in maniera trasversale, con altre ricette ( nel caso del babà, i lievitati dolci) interviste a esperti, il filo diretto dover avere chiarimenti, i tips and tricks, che vanno oltre suggerimenti e trucchi ma si rivelano una vera scuola di cucina, trattati con competenza e cura.
Personalmente ritengo che l'Mtc più che una sfida con altri con cui competere è prima di tutto una sfida con se stessi, perché  mettendo in gioco le proprie conoscenze e competenze si ha la possibilità di imparare e di attingere tanto.
E' un'esperienza che auguro a tutti.
Poi quest'anno c'è anche una gran bella novità.Il vincitore con la sua ricetta che propone per la sfida, viene ospitato sulla rivista A Tavola!
Ditemi voi se non è una bella esperienza da fare? 
Dopo la versione dolce, il classicissimo babà, non potevo non proporvi anche la mia versione salata; è un po' bruttino da guardare, perché non può essere abbellito, decorato e lucidato come l'altro però mi auguro che sia gradito ugualmente.


Ingredienti
500 g di farina
3 uova
150 ml di latte
50 g di burro
50 g di strutto
1 cucchiaino di zucchero
1 cucchiaino di sale
10 g di lievito di birra
150 g di salame
150 g di provolone
Lievitino
Sciogli il lievito di birra con 70 g di latte tiepido e 1 cucchiaino di zucchero e impastali con 100 g di farina, tutti presi dal totale degli ingredienti. Lascia lievitare fino al raddoppio, coprendo la ciotola con un telo umido.
Primo impasto
Versa in una ciotola il resto della farina (400 g), fai la fontana, versaci il lievitino e le tre uova. Impasta schiacciando ripetutamente nella mano l’impasto per amalgamare le uova e aggiungi un cucchiaio alla volta di latte per ammorbidirlo un po’, man mano che ne senti la necessità, facendo attenzione a non renderlo molle; poi impasta energicamente, sbattendolo verso la ciotola per una decina di minuti. Copri e lascia lievitare fino al raddoppio.



Secondo impasto
Aggiungi all'impasto ormai lievitato la sugna e il burro ridotto a pezzettini e lasciato a temperatura ambiente per una decina di minuti. Impasta per 5 minuti nella ciotola, poi ribalta l’impasto su un piano da lavoro e inizia a lavorare energicamente piegandolo e sbattendolo più volte per 15/20 minuti. Quando inizierà a staccarsi dalle mani e vedrai l'accennarsi delle prime bolle appiattiscilo delicatamente e distribuisci sopra il salame e il provolone ridotti a piccoli pezzi. Amalgamali all'impasto continuando sempre con la tecnica delle piegature fino a distribuirli uniformemente.
Stacca delle palline e sistemale nello stampo preventivamente imburrato e lascia lievitare coperto con un telo umido fino a triplicare di volume.
Accendi il forno a 220°,inserisci una teglia con dell'acqua calda,raggiunta la temperatura, abbassa a 200°, inforna, dopo dieci minuti estrai la teglia e cuoci per altri 25/30 minuti. Controlla la cottura ed eventualmente copri con un foglio di alluminio per evitare alla superficie di scurire. Spegni e lascia in forno altri dieci minuti poi sforna, estrai il babà dallo stampo e lascia raffreddare appoggiato su un telo da cucina



Varianti Il salame e il provolone puoi sostituirli secondo i tuoi gusti. Il salame con prosciutto cotto o pancetta o magari fare un misto dei tre tipi. Così anche con il provolone: svizzero, caciocavallo o parmigiano.

Primosale fatto in casa

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Fare il formaggio in casa è più facile di quanto si possa immaginare. A volte si pensa che quest'azione appartenga a un mondo molto lontano dal nostro, quasi impossibile da raggiungere. Nulla togliendo ai mastri casari, che hanno maturato esperienze lunghe una vita, che hanno appreso tecniche ricevute da altri prima di loro, che custodiscono antichi segreti che connotano fortemente la tradizionalità e la tipicità legate a quel dato formaggio, anche noi possiamo provare a fare questa esperienza e goderne le soddisfazioni. Si può cominciare dal primosale, un formaggio semplice che non richiede tanto impegno, né lunghi tempi di attesa per poterlo assaggiare.


Cosa occorre
lt 2,5 di latte crudo o fresco pastorizzato
1 cucchiaino di caglio
1 cucchiaino di sale

5 fascere da 7 cm di diametro e 8 cm di altezza
1 pentola di acciaio a fondo spesso
1 frusta
1 coltello a lama lunga
1 mestolo forato

Se disponi di latte crudo, portalo lentamente a ebollizione, spegni e fai raffreddare fino a raggiungere i 38/39°.Se non hai un termometro da cucina fa fede anche la prova dito, cioè immergi la punta del mignolo nel latte: devi sentirlo caldo ma non scottarti.
Se utilizzi latte fresco pastorizzato sarà sufficiente soltanto riscaldarlo fino a raggiungere i 38/39°.
A questo punto aggiungi il cucchiaino di caglio e il sale, agitare con una frusta per una trentina di secondi,copri la pentola, avvolgila in uno scialle o in una copertina di lana e lascia riposare (stufatura) per un ora. Trascorso questo tempo otterrai una cagliata con una consistenza simile a un budino. Ora è il momento della rottura; con un lungo coltello pratica dei tagli prima a croce e poi in tanti quadrotti fino ad arrivare alla dimensione di una noce. Preleva la cagliata con un mestolo forato e travasala nelle fascere; farai un primo giro, poi con i polpastrelli ammassa la cagliata per permettere la fuoriuscita del siero e creare spazio e poi continua ad aggiungere ancora cagliata fino ad esaurirla. Le fascere puoi sistemarle su una gratella appoggiata a sua volta su un piatto largo in modo da raccogliere tutto il siero. Dopo un ora è il momento del rivoltamento della forma. Con un movimento deciso capovolgila sul palmo della mano, appoggia la fascera sulla grata e con l'altra mano adagia la forma di formaggio di nuovo in essa dal lato opposto. Ripeti così l'operazione per altre due volte ogni ora. Passa in frigo e lascia maturare almeno 12 ore poi togli le forme dalle fascere e avvolgile in carta pergamena o carta da forno e conserva in frigo per una settimana.

Il siero che avrai dal drenaggio puoi recuperarlo per fare la ricotta.


Note personali: il primosale è ottimo a colazione con del pan briosche e miele o della confettura. E' ideale per farcire panini, focacce e piadine. Negli antipasti, accompagnato con un pinzimonio di verdure e spolverato di pepe o delle erbe fresche.
Volendo puoi aggiungere nella cagliata ancora tiepida del pepe in grani, peperoncino, origano, rucola prima di trasferirla nelle fascere e ottenere cosi del primo sale aromatizzato di vari gusti.

Piadine: una con frittata di cipolle, l'altra con limoni caramellati

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Come mi preannunciò la cara Cri il mese scorso, questo è stato il mese della pigrizia.Lontano dalla cucina e dal blog, la mente spenta senza creatività nè fantasia e contatti staccati. Tutto coinciso anche con abitudini alimentari un po' rivisitate, con la voglia di alleggerire i piatti e il peso che negli ultimi tempi se ne andava un po' per i fatti suoi. Complice minestre maritate e babà!
Poi arriva Tiziana con la sua piadina: pur avendo la strutto,  mette in pace con la coscienza, perché 100 g distribuito fra sei piadine è davvero poco.
E allora per l'Mtc n 40 ci si può davvero sbizzarrire con la fantasia, a 360° osando farciture light, vegetariane o vegane ( magari qui lo strutto lo sostituiamo con un buon olio).
Non mi dilungo, perché, voglio ancora godermi qualche giorno di beata pigrizia; intanto vi offro le mie proposte.


Piadina Romagnola
per 6 piadine

500 g di farina 00
125 g di acqua
125 g di latte parzialmente scremato fresco
100 g di strutto
15 g di lievito per torte salate
10 g di sale fino
1 pizzico di bicarbonato di sodio

Fai scaldare il latte e l'acqua in modo che siano tiepidi. Lascia ammorbidire lo strutto mezz'ora circa fuori dal frigorifero. Su di un tagliere disponi la farina e fai la fontana. All'interno metti lo strutto a pezzetti con il lievito, il bicarbonato e il sale, schiaccia con la forchetta per ammorbidire e aggiungi l'acqua e il latte. La consistenza inizialmente potrebbe essere un pochino appiccicosa e la pasta si attaccherà al tagliere ma impastando per una decina di minuti, cambierà staccandosi e diventando molto morbida e liscia. Se il liquido è troppo poco si sfalda e risulta un po' dura. Metti l'impasto in una ciotola e copri con la pellicola per alimenti. Lascia riposare 48 ore al fresco, massimo 20°C, se fosse più caldo puoi lasciare riposare la pasta in frigorifero e metterla a temperatura ambiente 2 ore prima dell'uso. La pasta ottenuta sarà circa 850 grammi, dividila in 6 pezzi da 140 grammi circa e forma delle palline, lasciale riposare almeno mezz'ora. Infarina appena il tagliere e disponici una pallina d'impasto, schiacciala  con la punta delle dita, stendi la piadina con il mattarello girandola spesso in modo che rimanga rotonda. Avrà un diametro di circa 20 centimetri e uno spessore di 0,5 centimetri. Scalda il testo o l'apposita teglia di terracotta, su un fornello a doppia fiamma, con sotto uno spargifiamma. Se non disponi nessuna di queste teglie utilizzate una padella antiaderente piuttosto larga. La temperatura non dovrà essere troppo alta altrimenti la piadina si brucia fuori e rimane cruda all'interno, ma nemmeno troppo bassa. Puoi fare una prova con un piccolo pezzetto di pasta per regolare la giusta temperatura. Cuoci pochi minuti per lato, controlla sempre alzando la piadina con una paletta. Disponi le piadine una sull'altra in modo che rimangano calde mentre cuoci le altre.




 Con frittata di cipolle e primosale
8 uova
4 cipolle dorate di Montoro
100 g di pecorino grattugiato
sale
pepe
olio extravergine d'oliva



Pulisci le cipolle e affettale sottilmente. In una larga padella scalda dell'olio, non deve essere abbondante, versaci le cipolle e sala; friggi a fiamma dolce, rimestando spesso cercando di non farle bruciare. In una terrina sguscia le uova, aggiungi il sale, il pepe e il pecorino. Batti brevemente con una forchetta, giusto il tempo di amalgamare gli ingredienti.
Quando le cipolle risultano cotte è il momento di decidere come procedere per la frittata.
Puoi versare il battuto di uova direttamente sulle cipolle e fare un unica grande frittata e poi distribuirla a pezzi sulle piadine oppure puoi prelevare le cipolle dall'olio, farle un po' intiepidire, versarle nel battuto di uova e fare tre frittate che dividerai a metà.
Lasciar intiepidire la frittata, distribuirla sopra le piadine, aggiungere fettine di primosale, piegare e gustare.
Se vuoi cimentarti nella preparazione del primosale, che è più facile di quanto pensi, ti rimando a questo post.


Con zucchine grigliate e limone caramellato

6 zucchine
mandorle pelate
menta fresca
3 limoni
3 cucchiai di zucchero di canna
1 cucchiaio di olio di semi
pepe
un pizzico di sale



Ridurre le zucchine a fette sottili, disporle in un piatto spolverandole di sale per ogni strato.Coprirle con un piatto capovolto, metterci un peso sopra e lasciarle spurgare per un ora.Asciugarle e arrostirle su una piastra.
Nel frattempo pelare i limoni a vivo, tagliare la polpa a dadini e trasferirli in un tegame aggiungendo a freddo lo zucchero, l'olio, il pepe e il sale.Lasciar cuocere dolcemente per 15/20 minuti e comunque fino a una consistenza caramellosa.
Farcire le piadine su una metà facendo uno strato di zucchine grigliate poi una cucchiaiata di limoni caramellati e infine delle lamelle di mandorle e foglie di menta.

Farfalle, fiori, erbe e formaggio: una montagna generosa e un cuore più leggero

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A volte basta davvero poco per staccare la spina,scappare da stress e impegni metropolitani e rifugiarsi in un piccolo angolo di paradiso dove potersi ritrovare e rimettersi in pace con se stessi e il mondo. 
Quando vado in montagna la mia energia vitale ricomincia a fluire.
Mi basta fare una passeggiata, raccogliere delle erbe e dei fiori, quelle stesse di cui si cibano pecore e mucche, lasciate libere di andare dove vogliono senza guardiani e senza recinti; mi affascinano tanto questi animali perché pur mancando la presenza umana, la sera fanno ritorno nelle loro stalle.
E il loro latte, in questi angoli di paradiso, non ha eguali; e il formaggio che si ottiene è un viaggio di aromi, sapori, profumi, sensazioni intense e inebrianti.
Mi hanno regalato un pezzetto di pecorino fresco; annusandolo sento la stalla, ma questo non mi ha scoraggiata all'assaggio; in bocca poi la freschezza delle erbe, la dolcezza del latte, gli aromi dei fiori.
E ho raccolto erbe e fiori freschi portandomi a casa anche alcune lumachine che vi erano attaccate.
E tutto questo ho voluto portarlo in un piatto semplice solo all'apparenza, 



Ingredienti
350g di pasta tipo farfalle
fiori freschi eduli:
borragine
primula
sambuco
violetta
erbe aromatiche:
origano
menta
rucola selvatica
150g di caciotta di pecora fresca
olio evo d'oliva
5/6 grani di pepe nero
1 scalogno
Preparazione
Tritare finemente lo scalogno e lasciarlo appassire a fuoco dolce nell'olio insieme ai grani di pepe nel frattempo che cuoce la pasta.Aggiungere la rucola spezzetttata, scolare la pasta e mantecare nell'olio aromatico; a fuoco spento aggiungere i fiori, l'origano e la menta freschi, anch'essi spezzettati, la caciotta grattugiata e amalgamare tutto. Lasciar riposare un paio di minuti e servire.



INSALATA DA TIFFANY: PERCHE' #questoepiubello

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Dopo L'ora del patè,ad appena sette mesi dalla sua uscita, eccoci al secondo libro dell'Mtc che ha per tema le insalate; una portata che ebbe finalmente una collocazione di tutto rispetto nei menù durante la Belle Epoque. Un'atmosfera ricreata nella sezione "insalate da Tiffany" (da qui il titolo del libro) dove dalle foto si possono ammirare  pezzi d'epoca pregiati: Lalique, Baccarat, argenti, libri antichi autografati e amenità del genere; e poi 53 ricette facili, tra cui la mia insalata di polpo.
Secondo lo spirito dell'Mtc, non ci sono solo le ricette del tema, ma anche utili istruzioni per preparare con le proprie mani salse, condimenti, emulsioni e inoltre oli, aceti e sali aromatici.


Insalata da Tiffany-Collana : I libri dell'MTChallenge, vol 2°
Il libro è edito da Sagep Editori
da un'idea di Alessandra Gennaro
le fotografie sono di Paolo Picciotto
le illustrazioni di Mai Esteve
l'impaginazione è di Barbara Ottonello di Sagep Editori
la direzione e coordinamento editoriale  è di Fabrizio Fazzari e
Alessandra Gennaro
il prezzo è di 18,00 euro.


Acquistando una copia di Insalata da Tiffany, contribuirai alla creazione di borse di studio per i ragazzi di Piazza dei Mestieri (link: http://www.piazzadeimestieri.it/), un progetto rivolto ai giovani oggetto della dispersione scolastica e che si propone di insegnare loro gli antichi mestieri di un tempo, in uno spazio che ricrea l'atmosfera di una vecchia piazza, con le botteghe di una volta- dal ciabattino, al sarto, al mastro birraio e, ovviamente, anche al cuoco. La Piazza dei Mestieri si ispira dichiaratamente a ricreare il clima delle piazze di una volta, dove persone, arti e mestieri si incontravano e, con un processo di osmosi culturale, si trasferivano vicendevolmente conoscenze e abilità: la centralità del progetto è ovviamente rivolta ai ragazzi che trovano in questa Piazza un punto di aggregazione che fonde i contenuti educativi con uno sguardo positivo e fiducioso nei confronti della  realtà, derivato proprio dall’apprendimento al lavoro, dal modo di usare il proprio tempo libero alla valorizzazione dei propri talenti anche attraverso l’introduzione all’arte, alla musica e al gusto.





A meno di un a settimana dall'uscita è già ai primi posti nella top ten dei best seller di cucina; un vanto tutto mady in Italy, nato dalla collaborazione di blogger fantasiose e creative dove dietro però c'è l'anima e il cuore di Alessandra Gennaro 
Si può ordinare su Ibis, Amazon e inoltre qui sul sito della Sagep c'è l'elenco di tutti i distributori dove le librerie possono fare l'ordine.

Vi chiedo anche di andare qui e leggere il post di Alessandra Gennaro. Parlare di lei non basterebbe mai; descrivere il suo impegno e la sua dedizione non sarebbe esaustivo; raccontare delle sue idee, delle sue iniziative e della sua forza coinvolgente e trascinante non sarebbe mai sufficiente. Leggete direttamente le sue parole e capirete che spirito anima "questa ex ragazza"




Cous cous allo zenzero e lime su salsa fredda alla mediterranea per #GalleriadelsaporeCirio

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Il 9 luglio ho avuto la possibilità, invitata da Mariachiara Montera, di partecipare alla Galleria del Sapore Cirio presso la Città del Gusto del Gambero Rosso a Napoli, terza tappa dopo Torino e Roma. 
Amore per la cucina e arte si sono incontrati in ogni tappa, dove ogni volta hanno cucinato 16 food blogger accompagnati da una performance live di un visual artist, Rosario, di 9periodico, per testimoniare che cucinare è arte, cucinare è la massima espressione della creatività. 
Un'esposizione temporanea del gusto di opere tirate fuori dall' artistic box. Su ogni postazione dove c'erano fuochi a induzione, tegami, padelle e coltelli, ci hanno fatto trovare un misterioso cesto coperto da un telo dove vi si trovavano tre ingredienti da usare obbligatoriamente e da abbinare ad altri a nostra scelta tra quelli in dotazione della cucina. 
Alzo il telo e cosa vedo? Una meravigliosa orata che profumava di mare, una radice di zenzero e un barattolo di polpa Cirio. Sinceramente ho avuto un attimo di panico: come potevo mai abbinare zenzero e pomodoro? Un ingrediente cosi mediterraneo e casareccio da abbinare a un aroma così lontano dalle mie memorie gustative? Ho avuto all'inizio un rifiuto di cimentarmi, anzi avevo sinceramente intenzione di protestare e esprimere il mio disappunto al bravissimo chef Luca Ogliotti, il quale doveva poi assaggiare il mio piatto e giudicarlo. 
Ma poi ecco arrivata l'ispirazione artistica! Decido di elaborare e manipolare il pomodoro e lo zenzero come se avessi dovuto fare due ricette distinte e accostarle in modo da percepire i sapori sempre in maniera distinta ma facendoli amalgamare sollo alla fine in bocca. Tutto questo all'apertura del barattolo; avete presente quando sbollentate i pomodori freschi, li spellate e poi li passate; avete presente quel profumo mentre siete intenti a far girare il passaverdure? Ecco questo è l'odore che emanava quella polpa, odore di pomodoro fresco, appena raccolto e tale l'ho voluto lasciare.
E allora tutti impegnati con le proprie opere secondo quanto uscito dal box, tutti, come me a sbirciare il box accanto, a far fronte a piccoli problemi, tutti a eseguire finalmente una ricetta che in un lampo senti come una piccola grande opera che stai creando, tutti soddisfati di avercela finalmente fatta. 
Poi uno alla volta tutti a presentare i piatti allo chef, tutti a guardare attentamente la sua espressione durante l'assaggio, tutti attenti ad ascoltare il suo giudizio come se avessimo dovuto captare qualcosa di determinante per il nostro orgoglio di blogger. 
Il mio piatto? Lui l'ha trovato un po' povero di sale (e questo me l'aspettavo visto che, da buon romano, durante il master class ci ha presentato dei crostini al pecorino e un'amatriciana rivisitata; e visto che ho l'abitudine di usarne davvero poco) però in compenso ha sottolineato l'aspetto positivo di questa carenza, perché in questo modo si poteva sentire l'aroma dello zenzero e di tutti gli altri elementi della mia preparazione; si è poi complimentato per la croccantezza e per il sapore distinto delle verdure; alla fine ha detto: brava, davvero buono


Ingredienti
2 bicchieri di cous cous
1 radice di zenzero
1 lime
1 peperone rosso
1 zucchina
1 carota
½ porro
1 orata da 600/700 g
1 barattolo di polpa Cirio
basilico fresco
olio evo
sale
Preparazione
Fare un brodo con 750ml di acqua lo zenzero e la buccia di lime, lasciando sobbollire coperto per una ventina di minuti. Spegnere e filtrare. Versare 2 bicchieri di cous cous in una pirofila larga, aggiungere 2 bicchieri e mezzo di brodo e un filo di olio; amalgamare e lasciar idratare per 5 minuti, poi sgranare con le mani. Nel frattempo arrostire il peperone , spellarlo e tagliarlo a dadini; tagliare a dadini anche zucchine, carote e porro e brasarli separatamente in tegame coperto senza olio. Pulire l'orata, sfilettarla e tagliarla a dadini; rosolarla velocemente in padella con un filo di olio per 1 minuto. Riunire tutti gli ingredienti nella stessa pirofila del cous cous. Per la salsa aprire il barattolo di polpa versarlo in un boccale, aggiungere un pizzico di sale, 4cucchiai di olio,delle foglie di basilico sminuzzato. Frullare fino ad ottenere un'emulsione omogenea e vellutata. Adagiare delle cucchiaiate di salsa fredda in un piatto fondo, sistemare il cous cous sopra la salsa e completare con un filo di olio


Il mio piatto presentato durante la sfida

I sedici blogger di Napoli

I blogger, l'artista, lo chef, la cara Mariachiara e lo staff della Cirio

Un bellissimo selfie

Lo chef Luca Ogliotti

La performance live di Rosario

Ed io grata per questa bellissima esperienza

Papaccella napoletana ripiena di baccalà con fonduta al conciato romano

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Questa che vi racconto oggi è un'altra Campania, quella a cui sono legati i miei ricordi e i miei affetti più cari.
Avrei potuto raccontarvi di mozzarella, quella che più un prodotto è diventata un valore per la nostra terra e per la mia famiglia in particolare, da difendere e di cui andare fieri per la sua bontà e la sua unicità, ma non lo faccio perché dai ricordi e dagli affetti oggi voglio tirar fuori qualcosa da salvare dall'oblìo, da salvaguardare dall'omologazione, da tutelare anch'essa per la sua tipicità.
E' la papaccella napoletana. Tutelata dallo Slow Food, coltivata da pochi produttori dell'area vesuviana che attuano un disciplinare che persegue innanzitutto la qualità con metodi ecosostenibili ed ecocompatibili, commercializzata direttamente da loro non per un mercato di massa ma per quelle persone che ne apprezzano il valore, la storia e la tradizione legate ad essa.
Alla papaccella, come dicevo, sono legati i miei ricordi più cari perchè era uno di quei cibi più amati dal mio papà. E ora che non c'è più da sette mesi i ricordi legati al cibo mi rimandano alla sua memoria ancora di più, gustandoli in una maniera diversa, approcciandomi ad essi allo stesso modo in cui faceva lui.
Se per me certi cibi meritavano solo un assaggio, giusto per soddisfare una mera curiosità, per lui costituivano un pasto appagante ed esaustivo.
Mio padre aveva la capacità di godere di una tale soddisfazione (ho fatto un pasto da re) anche se mangiava una semplice acciughina condita con olio e pepe, insieme a del pane cotto con le fascine.
La papaccella la produceva direttamente lui stesso. Si rivolgeva al suo fornitore di piantine di fiducia e ricordo che ne acquistava metà rosse e metà gialle e poi le impiantava nel terreno alternandole di colore; che meraviglia quando vedevo quei bottoncini verdi che schiudevano al posto del fiore e poi giorno per giorno diventavano sempre più grandi e che meraviglia ancora di più quando poi le vedevo mature con quei colori vividi e brillanti che si notavano da lontano.
Una volta mature,era di questi tempi di solito, tra la metà e la fine di agosto, mio padre le raccoglieva e arrivato a casa le puliva una ad una con un panno umido e intere le riponeva in un grosso e panciuto vaso di vetro dove poi ci versava l'aceto rosso (anche questo preparato da lui stesso con il vino di uva fragola che coltivava sulla sua terra) "spezzato" da un po' di acqua.Le lasciava maturare bene per consumarle in inverno, soprattutto tra il periodo natalizio e il periodo del maiale (quando ancora si ammazzava in casa). Infatti trionfava sulla tavola natalizia nell'insalata di rinforzo, con il baccalà lesso e le olive nere, con " o' pero e o' musso"; e poi fritta con le costatelle di maiale e la salsiccia appena insaccata.
Quando lui tornava stanco e affamato dalla campagna alla domanda di mia madre "cosa ti preparo?", la sua risposta più sovente era"aspetta che prendo na' puparola sott'aceto e la mangio con un po' di pecorino". E così lo vedevo salire dalla cantina con un piatto in ognuna delle mani: in uno 3-4 papaccelle dai colori vividi e brillanti allo stesso modo di come erano state invasate, nell'altra una bella forma di pecorino conciato prelevato dall'olio dov'era stato messo la primavera precedente e che poteva durare fino a due primavere successive diventando scuro e piccante con un forte aroma che persisteva in bocca anche dopo qualche oretta.
Anche il pecorino si faceva a casa mia. Mio padre non allevava le pecore, a questo non ci era arrivato, ma barattava l'erba che seminava sui suoi terreni alla fine dell'inverno con il latte delle pecore che pastori locali portavano a pascolare da noi.E allora ogni primavera ricordo ancora quando era il momento di fare il pecorino; mi tenevano lontana per paura che combinassi qualche guaio e da dietro i vetri cercavo di imprimere in me tutte quelle immagini a cui assistevo.
E si faceva allo stessa maniera del conciato romano, anch'esso presidio Slow Food. I miei non lo lavavano con l'acqua di cottura delle pettole ma con l'aceto e non lo invasavano con la nepitella e il vino ma semplicemente con olio.



Ma quando conobbi Manuel e assaggiai un pezzettino del suo conciato ebbi prima un tuffo al cuore e poi un tuffo indietro di venti anni per quel sapore antico e familiare che ritrovai nel suo formaggio che da sempre era stato il formaggio di casa mia.

Fin da quando fu indetto il contest Terra di fuoco, dove si racconta di un'altra Campania, pensai di voler riunire in un unico piatto tutti i sapori che mi hanno accompagnata sin da bambina, tutti i ricordi che mi hanno nutrita più del cibo, tutte le emozioni che oggi sono diventate un'eredità preziosa da custodire ma anche condividere per riassaporare i valori della nostra terra dove prima del prodotto c'è amore, dedizione, sacrificio e rispetto anteposti sempre e comunque al semplice profitto.

Ingredienti
8 papaccelle ricce sott'aceto
200 g di pane cafone
200 g di baccalà dissalato
30 g di olive nere
20 g di cucunci
3/4 albicocche del Vesuvio disidradate
pepe nero
origano fresco
una punta di aglio
olio extra vergine di oliva

Per la fonduta
30 g di conciato romano
100 ml di panna fresca di bufala

Con un coltellino appuntito e affilato togliere il torsolo dalle papaccelle, sciacquarle sotto acqua corrente per eliminare i semi e l'eccesso di aceto e riporle capovolte perché asciughino.
Lessare il baccalà per una decina di minuti, scolarlo e far raffreddare.
Sbriciolare il pane e tostarlo brevemente in una padella antiaderente.
In una ciotola riunire le olive e le albicocche ridotte a piccoli dadini e i cucunci dissalati e tagliati a rondelle sottili.Aggiungere il pane, il baccalà sfogliato, l'origano fresco, l'aglio tritato finemente o schiacciato, il pepe e un generoso giro di olio. Amalgamare bene gli ingredienti e aiutandosi con un cucchiaio riempire le papaccelle. Trasferirle in una teglia, irrorarle di olio e cuocere in forno preriscaldato a 200° per 20 minuti.
Per la fonduta. In un tegame grattugiare il conciato, aggiungere la panna di bufala e riscaldare su fuoco dolce girando con una frusta senza mai fermarsi fino a quando la salsa risulta omogenea e vellutata, facendo attenzione a non raggiungere mai il bollore.
Servire le papaccelle irrorandole con la fonduta al conciato romano.

Note personali
- Di solito la papaccella cotta a forno mia madre la faceva con acciughe, capperi, uva passa e pezzetti di pecorino conciato. Questa ricetta l'ho rielaborata per poter assaporare e ottenere gli stessi risultati ma con ingredienti diversi.
- L'albicocca del Vesuvio disidratata conserva le stesse note aromatiche del frutto fresco e la utilizzo spesso in cucina allo stesso modo dell'uva passa ottenendo un risultato meno dolce ma equilibrato con ingredienti salati.
- I cucunci sono i frutti della pianta del cappero di cui soventemente si usano i boccioli. Ricchi di semini all'interno e più grandi del cappero vero e proprio, anch'essi si conservano sotto sale o sotto aceto. Avendo una mia amica delle bellissime piante che spuntano da un muro di tufo, indistintamente lei raccoglie frutti e boccioli conservandoli separatamente.
- Anziché dell'acciuga salata ho voluto utilizzare il baccalà perché al mio papà piaceva così, semplicemente lessato e condito all'insalata con papaccelle e olive nere.
- Il pecorino ho preferito utilizzarlo come salsa d'accompagnamento per mitigare un po' il suo aroma pungente.


Con questa ricetta partecipo al contest Terra di Fuoco.

Torta alle albicocche

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Una torta sicuramente non bella da guardare perché sono una frana con decori e presentazioni ma sicuramente buona da mangiare. Morbida e gradevole perché impregnata degli aromi dell’albicocca, presente non solo con il frutto ma anche con la confettura che le conferisce quelle note fruttate che persistono nel palato.
E in compenso un dolce leggero perché con pochi grassi e poche uova.
Un peccato di gola che possiamo permetterci, uno strappo alla regola che non ci fa sentire in colpa, confortati dall’idea della presenza della frutta.


Ingredienti
150 g di farina 0
50 g di farina di riso
2 uova
150 g di zucchero di canna
20 ml di olio di semi
50 g di yogurt greco
5 albicocche
2 cucchiaini di lievito per dolci
un pizzico di sale
Per decorare
Sciroppo di cottura delle albicocche
Zucchero a velo
Per uno stampo da 22 cm di diametro
Burro
Zucchero di canna


Preparazione
Lava le albicocche, elimina il nocciolo e tagliale a fettine. Cuoci in un tegame coperto per 3 minuti con un cucchiaio di zucchero prelevato dal totale. Spegni, prelevale con un cucchiaio lasciando colare lo sciroppo e trasferisci in un piatto perché raffreddino. 
In una ciotola monta le uova con lo zucchero fino ad avere un composto chiaro e spumoso.
Aggiungi alternativamente a cucchiaiate le farine setacciate, l’olio e lo yogurt e la confettura Fiordifrutta. Per ultimi il lievito setacciato, il sale e le albicocche, lasciandone da parte una decina di fettine per la decorazione finale. Trasferisci nello stampo precedentemente imburrato e spolverato di zucchero di canna e cuoci in forno preriscaldato per 30 minuti, e comunque fino a quando facendo la prova con uno stecchino di legno questo non risulta asciutto.
Sforna il dolce, lascialo intiepidire per 15 minuti e poi trasferiscilo su un piatto.
Nel frattempo prepara il decoro. Aggiungi nel tegame con lo sciroppo 3 cucchiai di Fiordifrutta , fai sciogliere a fuoco dolce per un paio di minuti e poi passa il composto attraverso un setaccio o un passaverdure a fori stretti. Metti in un cornetto di carta e decora il dolce, dopo averlo spolverato di zucchero a velo, secondo la tua fantasia. Infine completa con le fettine di albicocche.


Note personali
-Per i dolci uso uno zucchero di canna specifico che trovo in un negozio di commercio equo solidale. E’ uno zucchero chiaro, fine e asciutto. In alternativa puoi usare un Demerara comune preventivamente passato al mixer per renderlo più fine.


Con questa ricetta partecipo al contest Le ricette dell'estate cucina light con Fiordifrutta


Crostata di fichi e rosmarino

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Io detestavo i fichi, detestavo mangiarli e toccarli perché m’impressionava il loro interno.
Vedevo la mia mamma mangiarli con una tale soddisfazione che io non comprendevo e non condividevo affatto, ma la mia nonna ribatteva : “ai miei tempi costituivano il pasto, ci portavamo il pane da casa in campagna e dopo mezza giornata di duro lavoro lo trovavamo secco tanto era bollente il sole, ma con un paio di fichi aperti e appoggiati sopra si aggiustava tutto”.
Poi da lì in poi la nonna iniziava a raccontarmi di tutti gli abbinamenti presi dalle loro campagne che si facevano con il pane, secondo la stagione: con l’uva fragola, con la mela annurca, con le arance, con i pomodori, con la rucola selvatica. Poi quando la terra non riservava nulla ci si arrangiava con il vino. Si, proprio così, si innaffiava il pane secco con il vino rosso che ci si portava anch’esso dietro da casa e si racconta che era una vera leccornia, ambita anche dai più piccoli, ai quali un pezzettino non si negava mai.
Quando si toccavano le corde dell’emozione che vedevo negli occhi dei miei cari, era inevitabile un’evoluzione in me, una spinta a superare le mie remore, che non mi permettevano di vivere un’esperienza che per i miei cari era stata un tempo oltre che nutrimento anche conforto e calore familiare.
E allora ecco la spinta a provare!
Con i fichi ho iniziato soltanto con i dolci, confetture e marmellate comprese, ma non riuscivo ancora a mangiarne di freschi.
Poi ho conosciuto Stefano; schizzinoso con i pomodori, con la cipolla nel sugo, con il brodo non colato, con il minestrone non passato, con la pelle del pollo, con la carne non sgrassata, con gli abitanti del mare provvisti di lische e che mangiava due o tre frutti.
Ma quando ci si ama mica si badano a queste cose? Certamente no!
Ma non per me, perché io con le mie fantasie culinarie e con il mio amore viscerale per la cucina ho sempre sentito in me la vocazione di educare le abitudini di Stefano verso un’alimentazione consapevole volta a suscitare la sua curiosità, superare i suoi limiti e mangiare tutto indistintamente.
Impresa ardua, anzi impossibile: in venti anni non sono riuscita a indurre neanche una conversione verso un nuovo cibo!


Ma lui, beffa della sorte, ci è riuscito a farmi superare la mia avversione ( e le mie si contano su una mezza mano) storica e atavica verso il fico. E non è stata una lezione a tavolino e neppure una forzatura ma semplicemente l'esempio. Di anno in anno vederlo con quella ciotola piena di fichi davanti, vederlo beatamente gustarseli e poi ogni volta con tanta delicatezza che me li proponeva dicendomi di provare soltanto perché molto buoni, alla fine mi ha contagiata e non ho resistito più. Paure e fantasmi che si dissolvevano, sicurezza di non farlo mai che svaniva, certezza di non riuscirci che decadeva di fronte a tanta bontà mielosamente confortante.
E ora sono due o tre anni che faccio delle vere scorpacciate.
Ora dopo averli provati per l'ennesima volta con vari tipi di formaggi,  sul pane come faceva la mia nonna, in mezzo alla sfoglia di mozzarella con il crudo e un goccio di miele, avevo proprio voglia di una crostata fatta con farina integrale e del formaggio. 
Neanche il tempo di pensarlo che sul web mi imbatto nel blog di Elisa, Il fior di cappero, dove trovo la Rosemary Fig Tarte proposta per la re-cake di settembre, una sorta di gioco dove poter rielaborare la ricetta proposta, secondo i propri gusti.



CROSTATA DI FICHI E ROSMARINO


Per la crostata:
112 g di burro a temperatura ambiente
57 g di zucchero di canna
1/2 cucchiaino di sale 
100 g di farina 1
50 g di farina 0
1 rosso d'uovo (grande)


Per il ripieno:
8 fichi maturi, tagliati a metà o spicchi
3 cucchiai di zucchero di canna 
3 ramoscelli di rosmarino
225 g di ricotta di bufala
110 gr di formaggio di capra
62 gr di yogurt greco bianco
1 cucchiaio di zucchero 
37 gr di miele
Per una tortiera di 24 cm di diametro o,
come ho fatto io, due mini tortiere
da 10 cm


Per la crostata:
Lavora il burro con lo zucchero finché non diventerà cremoso. 
Aggiungi la farina e lavora finché non sarà completamente incorporata. 
Aggiungi infine il rosso d'uovo.
Forma una palla e avvolgila nella pellicola trasparente e metti in frigo per un'ora. 
Trascorso il tempo togli dal frigo e lascia ammorbidire.
Infarina la tavola e inizia a stendere la pasta. 
Metti la pasta nella teglia che avrai scelto, bucherella con i rebbi di una forchetta il fondo e il bordo e fai cuocere in forno caldo per 30 minuti a 180°C.



Per il ripieno:
Metti i fichi tagliati a spicchi su di un foglio di carta forno e spolverizzali con una generosa quantità di zucchero di canna e qualche ago di rosmarino. 
Inforna sul ripiano più alto e griglia finché lo zucchero non inizierà a caramellare, ci vorranno circa 5 minuti.
In una ciotola amalgama la ricotta con il formaggio di capra e lo zucchero e lavorali fino ad ottenere una crema omogenea. 
Aggiungi lo yogurt ed il miele. 
Lavora finché il tutto non sarà ben amalgamato.
Versa la crema di formaggio nella crostata e decora con i fichi caramellati e qualche ago di rosmarino fresco.







Mozzarella Chiraschi

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Ci sono dei cibi li senti particolarmente vicini al tuo mondo, ai tuoi gusti e alle tue scelte che solo a sentirli nominare ti danno già quel conforto e quella soddisfazione tali da sembrare di averli mangiati veramente.
Questo mi è successo quando ho letto del tema dell'Mtc di questo mese, della proposta di Annalena che non è tanto una ricetta ma sperimentare una delle tecniche di cottura del riso proposte da lei.
Io amo il riso, amo cucinarlo e amo mangiarlo; a casa mia almeno un risotto e un pilaf a settimana non possono mancare; d'estate l'insalata di riso, in inverno le minestre. 
Anche se dalle mie parti è considerato uno sciacquapanza e un alimento da somministrare a persone delicate e ammalate, noi, a dispetto di qualsiasi luogo comue, lo preferiamo in qualsiasi modo. Che golosità il riso e patate del lunedi con una cucchiaiata di ragù della domenica cotto insieme a quella crosta di parmigiano che attendeva già da qualche giorno; diventa un salvacena quando rincasati tardi chiedo cosa preparare per cena e tutti mi rispondono: riso al burro e parmigiano; poi i risotti secondo quanto ci offre la stagione: ai porcini, con verza e salsicce, con zucchine e provola, agli asparagi, alla zucca....e qui potrei continuare all'infinito. 
Insomma tante ricette per accontentare tutti ma in definitiva senza avere la consapevolezza della tecnica di cottura usata. 
Annalena mi ha aperto dinanzi un mondo immenso che ha suscitato in me prima entusiasmo e poi un senso di piccolezza e di impotenza rispetto a quanta conoscenza mi offrisse lei. 
Già con il babà mi aveva tanto colpito la sua maestrìa e la sua bravura uniti a un animo gentile e umile ma che rivelava una grande persona. Tutto questo l'ho visto confermato poi con la vittoria che l'è toccata: con semplicità e chiarezza ha avuto la capacità di toccare le corde più profonde degli animi di noi appassionati e aprire le nostre menti a una comprensione che rimarrà indelebile. 
In questo periodo avevo continuamente la sensazione che Annalena si aspettasse da me una ricetta con la mozzarella. Ne ho pensate tante, ma non riuscivo a trovare qualcosa che conservasse integro il suo sapore e la sua freschezza. Poi quando mi stavo quasi arrendendo e decidere di preparare dei timbalini ecco che il mio occhio è caduto per l'ennesima volta sulla Fukiyose chirashi sushi e qui ho avuto l'illuminazione: potevo rielaborare questa sua ricetta con degli elementi mediterranei che si accompagnano in maniera equilibrata alla mozzarella. 
La mozzarella è ottima con pomodori e basilico, la famosa caprese; è superba con pepe e limone; è un classico accompagnata anche alle olive. 
Ho voluto riunire tutto questo in questo piatto giapponese, uno sushi scomposto, più casalingo di quello che conosciamo noi occidentali, dove tutti gli elementi vengono serviti sopra il riso.




Ingredienti
450 g di riso originario tondo
50 ml di acidulato di riso 
1 cucchiaio di miele 
1 cucchiaino di sale 
foglie di coriandolo
buccia di limone grattugiata
6 mozzarelline da 30 g 
150 g di pomodorini 
basilico
zucchero di canna 
2 cucchiai di salsa di soia 
2 cucchiai di olive nere 
½ bicchiere di vino bianco dolce 
zenzero grattugiato 
aglio 
origano fresco 
pepe 
sale 
olio extravergine d'oliva

Prepariamo i pomodori confit 
Lavare i pomodorini e tagliarli a metà, sistemarli in una teglia su un foglio di carta da forno, spolverarli di sale e zucchero di canna passato al mixer, basilico tritato e un filo di olio; passarli in forno a 100° per 90 minuti.


Prepariamo le olive 
Denocciolare le olive, trasferirle in un tegame, aggiungere un filo di olio, un po' di aglio tritato, l'origano fresco, il pepe e rosolare a fuoco vivace spadellando per un paio di minuti; 
versare il vino, far sfumare, lasciar cuocere per un minuto e spegnere. Versare in una ciotolina, aggiungere dello zenzero grattugiato e lasciar marinare fino al completo raffredamento. 

Prepariamo le mozzarelline 
Tagliare le mozzarelline a cubetti di circa 1,5 cm, sistemarle in una ciotola, aggiungere del basilico tritato e un paio di cucchiai di olio e lasciar marinare sino all'utilizzo.


Prepariamo l'acidulato di riso
Portare a ebollizione l'acidulato di riso con il miele e il sale; spegnere e far raffreddare completamente. 

Prepariamo il riso
Versare il riso in una ciotola capiente e coprirlo con il doppio di acqua fredda: Strofinarlo tra le dita per circa un minuto, fino a quando l'acqua risulta bianca. Scolare, sciacquare delicatamente e ripetere lo stesso procedimento per altre tre quattro volte fino a che l'acqua è chiara. Versare di nuovo nella ciotola, aggiungere altra acqua e lasciare in ammollo per 30 minuti. Scolare, sciacquare e versarlo in un tegame di terracotta smaltata, coprire di acqua fino a superare di 2 cm il riso, aggiungere qualche fogliolina di coriandolo e la buccia di limone grattugiata Quando l'acqua bolle coprire con un coperchio pesante avvolto in un panno, abbassare la fiamma e lasciar cuocere per 10 minuti senza mai aprire. Quando è cotto trasferirlo su un piano di legno, versare sopra l'aceto freddo e con un cucchiaio rimestare fino a quando i chicchi risultano lucidi e si è completamente raffreddato. 
Mi ha aiutato tanto in questa operazione una giornata ventosa e secca, visto che ho anche sistemato il tagliere vicino alla finestra spalancata. Annalena ci suggerisce anche di usare un phon con il getto di aria fredda.


Completiamo il piatto 
Adagiare il riso in una ciotola, sistemare i pomodorini confit a raggiera, negli spazi sistemare le olive, al centro sistemare una mozzarellina intera tenuta da parte e poi tutto intorno quella a dadini; decorare con del basilico fresco. 
Unire la marinata delle olive e quella delle mozzarelle, aggiungere la salsa di soia emulsionare con una forchetta e disporla vicino alla ciotola con il chirashi perchè ognuno possa servirsene a proprio gradimento nella ciotola individuale.


Annalena suggerisce di mangiare questo genere di preparazioni con le bacchette di legno, perchè al pari delle patatine fritte mangiate con le mani, è più buona!

Con questa ricetta partecipo all'MTC n 41 di settembre


Seminare il futuro

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Per dire no alla manipolazione genetica, agli ibridi, ai brevetti delle multinazionali sulle sementi;
per riflettere sulla provenienza del cibo;
per riscoprire gesti semplici, antichi e universali come quello della semina...
38 aziende biologiche e biodinamiche in tutta Italia,da quattro anni, aprono le loro porte a bambini e genitori con l'iniziativa Seminare il futuro
Una giornata spensierata, scandita da ritmi lenti come quelli di una volta, all'insegna di incontri gioiosi e rispettosi, per rappacificarsi con madre terra e arrivare alla consapevolezza che solo da essa ci giunge il nutrimento che mai potrebbe farci del male.
Un'agricoltura sana, senza la manipolazione dell'uomo, con concimi bio organici, con la presenza di animali, insetti e piante secondo un ecosistema naturale, non crea intolleranze, allergie o predisposizioni a qualsiasi altro tipo di malattia.


Arrivati ci accoglie Enrico uno dei soci dell'azienda biodinamica La colombaia,
nel cuore di Terra di lavoro, a Capua, considerata un tempo da Cicerone seconda solo a Roma, ed da qui che nasce il termine Campania Felix.
Una terra fertile e rigogliosa, con l'acqua ad appena 10 metri dal suolo e un sole che splende tutto l'anno, dove una famiglia di contadini da venti anni ha detto a tutte le innovazioni dell'agricoltura chimica.
Enrico ci parla di questo raccontandoci di come si interviene sul grano per mantenerlo basso, di quello che si fa ai cavoli perché siano tutti belli e grandi, di come a una fragola viene inoculato il gene della foca per coltivarla e farla resistere a temperature rigide.




Sbalordimento e perfino scandalo: chi mai ci racconta queste cose? No ci tengono nell'ignoranza, manipolando le nostre menti, abbagliandoci con il bello e l'abbondante. Se entri da un'ortolano prendi la lattuga o la mela più grande, più bella, più smagliante che ci sia: questo ci basta, questo ci fa sentire di aver fatto bene la nostra scelta, di aver deciso la cosa migliore per noi e i nostri cari. Ma ci domandiamo mai come sia arrivata ad essere cosi?
Enrico dopo quest'accoglienza che ha lasciato una nuova consapevolezza in ognuno di noi, ci offre un assaggio dei prodotti della loro azienda: crostate, biscotti, ciambelle, succhi, tutti rigorosamente prodotti da loro.






Poi tutti i bimbi sul trattore per arrivare in uno dei loro campi dove avviene la semina.













Durante il tragitto Enrico ci mostra una serie di cumuli. Da un lato sono gli scarti vegetali, dall'altro il letame, messi lì a maturare per diversi mesi per essere poi utilizzati come concime.














Ci mostra i tunnel, spiegandoci che non sono serre, che hanno una funzione diversa da esse; servono semplicemente da protezione da gelo o grandine per gli ortaggi.



Ci mostra i teli che a prima vista sembrano plastica, ma poi ci spiega che sono amido di mais, quando è ora di mettere a dimora nuove piantine, questi sono arati insieme al terreno, divenendone concime.















Arrivati tutti  ricevono il loro sacchetto con il grano e Enrico mostra il gesto di come spargere il seme. Divisi in due grandi gruppi, ai due lati del terreno, parte la semina e si conclude in pochi minuti, visto il gran numero di neo contadini.





Poi tutti insieme in un' immenso cerchio ci diamo la mano, Enrico ci ricorda che nello stesso momento lo fanno anche tutte le altre aziende, alziamo le braccia al cielo e lo ringraziamo per l'avvenuta semina.



Possiamo andare a controllare il nostro piccolo pezzo di terra quando vogliamo, per veder spuntare le piantine, osservare la loro crescita, notare poi le spighe di grano che arriveranno alla maturazione e poi alla mietitura.
Ai saluti una soddisfazione sul volto di ognuno e un senso di pace che ci pervade.


Crema salata di marroni e zucca di Francy

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Questo è stato il post più travagliato della storia del mio blog.
Ma quando il gioco diventa duro, io non demordo, resisto ancora di più.
Dopo varie situazioni che non sto qui a raccontare e che mi hanno tenuta lontana dal pc, finalmente trovata un po' di calma esteriore e interiore, scrivo un lungo post; il giorno dopo vado lì a rivedere tutto per poi pubblicare e cosa succede? Non trovo nulla!!!
Gli intralci e gli impicci hanno continuato a ostacolarmi, ma io ostinata devo pubblicare a tutti i costi in onore della mitica Francy.
Sarò breve per evitare altri rischi.
Io e lei praticamente siamo "nate" insieme e il nostro fu come una specie di amore a prima vista.
Divoravamo reciprocamente con la sola lettura ogni singolo nostro post, eravamo sempre le prime a lasciare i commenti all'altra e molto, ma molto spesso abbiamo rifatto una ricetta dell'altra magari rivisitata per la voglia continua di sperimentare.
La prima ricetta per me sono stati i suoi muffins salati, poi i cake pops, il macafame, il ragù, le tagliatelle e ancora tanto altro, garantisco, ma non vado nel suo blog per la conferma dei nomi delle sue preparazioni per paura che il tempo e il pc mi giochino ancora altri brutti scherzi e mi intralciano per l'ennesima volta.
Lei poi mi ha dedicato dei bellissimi ed emozionanti post che talvolta mi hanno fatto scappare anche la lacrima e mi facevano dire a me stessa: è mai possibile che queste parole  siano rivolte proprio a me?
Questo è successo con il babà in occasione del mio Mtc, dove pubblicò a mezzanotte in punto, per prima, ed io ero certa che l'avrebbe fatto ed ero lì ad attendere....e arrivò con la sua valanga di parole, di delicate sfumature, e la sua (MIA) crema di bufala: emozione pura!!! 
Ricordo come fosse ieri quando pubblicai il mio post sul lievito madre: attraverso lo schermo mi irradiava e mi riempiva tutta la sua ammirazione che sentivo fresca e sincera. Poi da lì i suoi post sui lievitati in cui mi citava come un esempio, mi hanno sempre riempito di orgoglio. 
Ora con questo gioco di Flavia, il Recipe-tionist, dove c'è la possibilità di rifare una delle sue ricette non potevo certo mancare! Avevo già apprezzato tanto il suo Rustico leccese e sapendolo in gara ero certa che sarebbe stato premiato. 
Francesca è da ammirare, la cosa che più amo di lei è la sua ricerca, la dedizione allo studio di una ricetta o di una tecnica, arricchite dalla storia e come quella ricetta tocchi la sua vita e infine mi affascina la capacità di farti entrare nella ricetta comprendendola e facendotela amare.
Il nostro all'inizio è stato un feeling, una sintonia che ci faceva comprendere attraverso le parole lette dal blog se stavamo attraversando magari un brutto periodo. Infatti a volte ci siamo anche scritte in privato perché avevamo intuito che una di noi aveva bisogno di raccontarsi.
Poi per me le cose sono cambiate su vari fronti, occupando la mia mente e le mie energie e tenendomi sempre di più lontana da questa bellissima realtà virtuale che molto spesso non è tanto virtuale come si pensa. 
E quindi, devo dire la verità, oggi quando passo da Francesca spesse volte sono letture veloci, dove i miei commenti si trovano sempre più spesso alla fine o non riesco neppure più a commentare.
Però lei la porto sempre nel cuore; il suo entusiasmo che trasmette e i suoi sorrisi sono quasi terapeutici per me perché la sento sincera e amica.
Questa che ho rielaborato, la Crema salata di marroni e zucca,è una ricetta che ho presentato a un evento un anno fa: l'accompagnai con dei crakers al rosmarino che feci con l'esubero del lievito madre. Le persone si avvicinavano con curiosità e andavano via con meraviglia per la novità che avevano assaggiato. Sinceramente noi del sud non siamo abituati a queste creme salate, ai dip (giusto Francy?), pensavano fosse qualcosa di dolce ma trovavano altre emozioni sensoriali. 
Fu un successo ma mai ho avuto la testa e la possibilità di dirlo a Francy!



Questa è la mia personale rielaborazione che si differenzia da quella di Francy per la mancanza del marsala che ho scelto di non mettere e del finocchio che ho dimenticato.
Ma ho aggiunto i semi di finocchietto selvatico che io amo tanto con la zucca.

Crema salata di marroni e zucca

450 g di marroni 
300 g di zucca 
semi di finocchio
 rosmarino
 alloro
1 tazzina di aceto balsamico
olio extravergine d'oliva
Sale  
pepe nero
Sbucciare i marroni e metterli in una pentola con acqua e una manciata di sale. Portare a ebollizione e cuocere per circa mezz'ora.
Scolare e quando sono ancora caldi togliere la pellicina e mettere da parte.
Sistemare in una teglia da forno la zucca tagliata a tocchetti, irrorarla di olio, sale e semi di finocchio; cuocere a 160° finché non risulta tenera e asciutta.
Unire la zucca ai marroni e schiacciarla attraverso un passaverdure, raccogliendo la purea in un tegame.
Unire l'olio, l'aceto balsamico, il rosmarino, l'alloro, del pepe appena macinato e del sale. Cuocere per una decina di minuti aggiungendo , se necessario, un po' di acqua.
Spegnere e trasferire la crema in vasetti a chiusura ermetica e sterilizzare in acqua in ebollizione per 20 minuti.


Io, ovviamente non ho trovato i marroni, è difficile dalle mie parti, per cui ho usato le castagne, che a differenza degli altri abbondano qui in Campania. 

Con questa ricetta partecipo al The Recipe-tionist di ottobre



Lasagna bianca con funghi e pomodori brasati

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Sabrina nell'introdurre la ricetta della sfida n 42 dell'Mtc ci chiede se siamo contenti che sia lei il terzo giudice, poi, più avanti la risposta in un certo senso
la dà lei stessa quando annuncia che è la lasagna, definendola Sua Maestà.
Chiunque, trovandosi al cospetto di cotanta regalità, è contento!
Poi quando l'autore è una persona allo stesso tempo umile e competente si naviga in acque tranquille e la contentezza si trasforma in una gioia pacata e grata.





Per la sfoglia
150 g di farina
150 g di semola di grano duro
3 uova
1/2 guscio di acqua
Versare su un piano da lavoro le due farine, fare la fontana e aggiungere le uova. Cominciare ad amalgamare con una forchetta aggiungendo man mano la farina dall'esterno verso l'interno; quando le uova sono completamente assorbite, impastare con le mani. Se risulta duro, quando è ancora granuloso aggiungere il mezzo guscio di acqua. Quindi procedere con l'impasto fino a quando questo risulta omogeneo e morbido. Lasciar riposare una mezz'oretta sul ripiano sotto una ciotola capovolta.


Per la besciamella
500 ml di latte
50 g di burro
20 g di farina
sale
In un tegame far sciogliere a fuoco dolce il burro, togliere dal fuoco, aggiungere la farina e amalgamare energicamente con una frusta. Rimettere sul fuoco e aggiungere il latte precedentemente scaldato in un tegame a parte. Continuare a mescolare a fuoco dolce fino ad avere la consistenza di una salsa vellutata. Aggiungere moderatamente un pizzico di sale

Per il ripieno
750 g di pomodorini
200 g di ricotta
250 g di fior di latte
700 g di funghi misti
(porcini, chiodini,
cardoncelli, champignon)
1 spicchio di aglio
1 piccolo peperoncino
prezzemolo
olio extravergine d'oliva
sale
Mondare e pulire i funghi e tagliarli a pezzi grossolani. Scaldare in un tegame l'olio con aglio e peperoncino e aggiungere i funghi e il prezzemolo tritato; salare, coprire e cuocere a fuoco vivace finché non asciughi la loro naturale acqua. Spegnere e tenere da parte.


Dividere la besciamella a metà e in una di queste aggiungere la ricotta: amalgamarla prima con una forchetta e poi con il frullatore a immersione fino ad ottenere una salsa senza grumi.
Lavare i pomodorini, asciugarli e tagliarli a metà. Scaldare su fuoco vivace, sulla fiamma più grande, una padella dal fondo spesso, aggiungere un filo di olio e i pomodorini; coprire, spadellare un paio di volte e lasciar cuocere per 2/3 minuti.











Stendere la sfoglia con un mattarello, ricavare dei rettangoli, sbollentarli man mano in acqua salata e raffreddarli in acqua fredda, sistemarli poi su un telo pulito.




Assemblaggio
Coprire il fondo di una pirofila con qualche cucchiaiata di besciamella semplice, adagiare sopra uno strato di rettangoli di pasta, poi del fior di latte a cubetti, i funghi e qualche cucchiaiata di besciamella alla ricotta. Continuare così fino ad esaurire tutti gli ingredienti terminando  con la besciamella semplice e dei pomodorini.
Infornare e cuocere per 20 minuti a 180°. Spegnere e lasciar riposare per 10/15 minuti


Con questa ricetta partecipo alla sfida n 42 dell'Mtc

Gu Shu Sala da tè e non solo

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Nasce a Napoli con una sala da tè l’Associazione Gu Shu
Non deve meravigliare che nella città italiana tempio del caffè sia nata un’Associazione per la diffusione della Cultura del Tè e delle piccole cose dimenticate.
Napoli è una città levantina e multietnica dove le influenze storiche e culturali hanno sempre lasciato una traccia importante e positiva.
Così, nel pieno centro storico, sul decumano minore in Via San Biagio dei librai ha trovato sede l’Associazione Gu Shu, fondata per volere e caparbietà di Giustino Catalano, Giuseppe Musella e Riccardo Abbruzzese, rispettivamente il primo enogastronomo appassionato di tè, il secondo noto commerciante di tè ed il terzo ex chef de Rang dell’Hotel Romeo.
Alle loro spalle un foltissimo numero di campani appassionati della foglia verde della Camelia hanno fatto si che i tre si prendessero la briga di costituire un’Associazione con una sede prestigiosissima quale è il Palazzo Diomede Carafa, edificio a 30 passi dalla statua del Nilo – nota ai napoletani come il Corpo di Napoli – del 1442.


Proprio al suo interno nelle due finestre che affacciano sulla copia della testa di cavallo che fu donata al Principe letterato da Lorenzo il Magnifico l’associazione Gu Shu (che significa “Albero vecchio” ) ha costituito la propria sede sociale con una sala da tè in pieno stile cinese.
“Qui con i nostri associati, che auspichiamo saranno molti, scopriremo tutti i segreti della bevanda e la abbineremo a piccole produzioni tradizionali italiane (ndr le piccole cose dimenticate) per dimostrare ancora una volta che il tè non è solo una bevanda per pasticcini ma soprattutto la bevanda di oltre la metà della popolazione mondiale con la quale si pasteggia”, alle parole del Presidente pro tempore Giustino Catalano fanno eco quelle del Vice Presidente Giuseppe Musella il quale afferma “non ci siamo inventati nulla di nuovo. Il tè nel centro di Napoli non è nessuna novità. Proprio su San Biagio dei Librai, nello storico Palazzo Venezia – ex ambasciata della Repubblica Serenissima dalla metà del ‘400, verso la fine del settecento fu costruito un giardino d’inverno nel quale si serviva regolarmente il tè e non il caffè”.
Lunedì 3 novembre dalle 17,00 l’inaugurazione della sede associativa dove ovviamente saranno serviti dei tè molto rari.
Il Marchio Gu Shu è un marchio registrato.
Nell‘invitare tutti il Tesoriere Riccardo Abbruzzese precisa che “l’Associazione e la Sala da Tè sono le prime in assoluto nel Sud Italia e che il tesseramento ha il costo annuale di 10 euro grazie al quale oltre che accedere alla Sala si ha anche diritto ad uno sconto del 10% su tutti i tè venduti nella vicina bottega del tè Qualcosaditè”.
Da Martedì 4 novembre la sala sarà aperta a tutti i soci dalle 10 alle 20 con il solo giorno di chiusura previsto di domenica.


Gu Shu
Associazione per la diffusione della cultura
del tè e delle piccole cose dimenticate

Le Chiffon Gruyère

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La Svizzera, cuore verde dell'Europa, con l' 80% del territorio destinato ai pascoli. Custode di una secolare tradizione casearia, dove tanti piccoli produttori, fedeli ad antiche tecniche, offrono ben 450 tipi di formaggi diversi. Gustare un formaggio svizzero significa avere la garanzia di un prodotto sano e di qualità perchè sottoposto a severi controlli che partono dalla materia prima (per legge è proibito l'aggiunta di antibiotici ai mangimi e la somministrazione di ormoni agli animali), seguendo tutta la filiera di produzione ( è vietato il caglio chimico, i coloranti artificiali e tutti i tipi di additivi per trattare la crosta) fino alla commercializzazione.
Oggi un concorso promosso da Formaggi della Svizzera e Peperoni e Patateci dà la possibilità di toccare, annusare, assaggiare e rielaborare due ricette del cuore con due di queste eccellenze: Le Gruyère DOP e Emmentaler DOP.


Le Gruyère è un formaggio prodotto nell'omonimo distretto, del cantone di Friburgo. Un' incantevole cittadina medievale, a ridosso di una piccola collina, dominata dal suo castello e circondata dalle sue mura fortificate, dove è chiusa completamente al traffico.
Avere un pezzo di Gruyère tra le mani è sentire soprattutto il suo aroma fruttato e leggermente speziato, con le sue note di nocciola e crosta di pane.Un sapore dolce tendente leggermente al piccante con una pasta compatta e senza occhiature, di un colore avorio che tende al giallo paglierino.
Stagionato in cantine umide, è sottoposto periodicamente a spazzolamento della crosta semplicemente con acqua e sale per favorire la proliferazione di quelle muffe che gli conferiscono il suo tipico sapore.
Un sapore che mi ha ispirato raffinatezza e sontuosità tipiche di un dolce importante. Mi sono chiesta come poterlo rappresentare in questo modo e dalla domanda alla risposta il passo è stato breve visto che a casa mia si sforna spesso la chiffon cake




Per Le Chiffon Gruyère
10 uova
400 g di Gruyère grattugiato fine 
400 g di farina 
250 ml di olio di semi 
250 ml di acqua 
la buccia grattugiata di un arancia 
1 cucchiaino raso di sale 
pepe nero 
noce moscata 
1 bustina di lievito istantaneo per salati 
1 bustina di cremor tartaro

Preparazione
Riunire in una ciotola tutto insieme la farina, il Gruyère, i tuorli d'uova, l'acqua, l'olio, la buccia d'arancia, il pepe, la noce moscata, il sale e amalgamare bene con una frusta elettrica. Aggiungere gli albumi montati precedentemente con un pizzico di sale a neve ferma: procedere in tre step per non smontarli.Aggiungere infine prima il lievito e poi il cremor tartaro. 
Versare l'impasto in uno stampo pulito e asciutto ma non imburrato e cuocere a 170° per 40 minuti. Al termine della cottura lasciare in forno spento per 5 minuti poi estrarre lo stampo e riporlo capovolto a raffreddare per 6/8 ore. Con una lama sottile staccare il cake  lungo i bordi e con un colpo deciso e netto battere lo stampo su un ripiano. Sistemarlo su un piatto da portata per la decorazione.


Per la Mousse
500 ml di panna fresca 
100 g di Gruyère grattugiato 
250 ml di latte 
200 g di salmone affumicato 
1 pizzico di sale 
2 fogli di gelatina

Preparazione

Montare la panna e tenere da parte in frigo.Frullare il salmone con il Gruyère e 200 ml di latte fino ad ottenere una spuma liscia e vellutata. Scaldare 50 ml di latte, aggiungere la gelatina precedentemente ammollata in acqua e strizzata, lasciar intiepidire e  amalgamare alla mousse di salmone. Aggiungere la panna, lavorando con una spatola dal basso verso l'alto perché non smonti fino ad ottenere una crema omogenea.



Decorazione
Riempire un sac à poche con la mousse al salmone e decorare la Chiffon Gruyère con dei grossi ciuffi sia lungo i bordi della base che sulla sommità. Completare con spicchi di pomodorini e deg di prezzemolo.
Servire con altra mousse in una ciotola a parte.

Con questa ricetta partecipo a #noiCHEESEamo


Biscotti salati all'Emmentaler e noci

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Eccomi alla seconda ricetta per il contest #noiCHEESEamo  di Formaggi dalla Svizzera e Peperoni e Patate con l'Emmentaler
Il formaggio svizzero per antonomasia, il prodotto più tipico che richiede oltre mille litri di latte fresco per ogni forma da 80 chili. I suoi caratteristici buchi a forma di ciliegia, regolari e distribuiti uniformemente, si creano naturalmente durante la stagionatura che va dai 4 ai 15 mesi.
Ha un gusto dolce con sentore di noci, di latte e di fieno;  una pasta compatta, tenera, elastica e untuosa al tatto; di un bel colore giallo chiaro.
Il suo impiego in cucina risulta estremamente versatile; grazie al suo sapore dolce e delicato è ideale nelle insalate, nei primi, in gustosi tramezzini o semplicemente con del miele di castagno, salse e mostarde di frutta.
Prodotto nella valle dell’Emme, a Berna, e regioni confinanti la svizzera tedesca, patria non solo del formaggio, ma anche per la produzione di biscotti.
Queste due caratteristiche di questo luogo ricco di tradizioni e bellezze naturali, mi ha ispirato la creazione di questi biscotti.
I miei lettori, conoscendomi, ormai sanno bene che amo tanto rielaborare delle ricette dolci in versioni salate; questo motivo  mi ha fatto osare la ricetta del precedente post e lo stesso mi fa osare questa.
 

Ingredienti

150 g di farina 00
50 g di farina di mais
2 uova
1 cucchiaino di miele di castagno
6 noci
80 g di burro
60 g di Emmentaler
½ cucchiaino di sale
1 pizzico di pepe
1 punta di cannella

Preparazione

Mettere le due farine su un piano da lavoro, fare la fontana e aggiungere l’Emmentaler grattugiato fine, le noci sminuzzate finemente, il burro freddo a pezzetti, e le uova, il miele, il sale, il pepe e la cannella.
Impastare velocemente fino ad ottenere un impasto omogeneo ed elastico.
Per chi dispone di un robot da cucina si può impastare  inserendo tutti gli ingredienti nel boccale fino al formarsi di una palla che si stacca dalle pareti.
Coprire l’impasto con una ciotola capovolta e lasciar riposare per 15 minuti.
Spolverare il ripiano con un po’ di farina di mais e stenderla con un mattarello fino ad arrivare a uno spessore di ½ cm. Con una formina ottenere i biscotti, riporli su una teglia ricoperta con carta da forno e cuocere per 15 minuti a 170°.

 


Io li ho accompagnati con una gustosa insalata che richiamava i sapori e i profumi dei biscotti fatta con

150 g di spinaci novelli
10 noci
2 mele annurche
100 g di Emmentaler
1 limone
2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
Sale

Sgusciare le noci e dividerle in 4. Lavare le mele, tagliarle a fettine sottili, adagiarle in una ciotola e irrorarle con il succo di tutto il limone. Tagliare l’Emmentaler in piccoli bastoncini. Lavare gli spinaci, metterli nella ciotola con le  mele e aggiungere il formaggio e le noci. Condire con olio e sale, amalgamare e servire.  

 


Con questa ricetta partecipo a #noiCHEESEamo

 

Muffins con cicoria agnello e uovo sodo

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Ovvero i muffins del Seder leil Pesach


 
Un bel pò di anni fa frequentai un corso di ebraico antico dove oltre a imparare lettere, parole e modi di dire, ci furono insegnati anche canti, poesie e salmi.
Scoprii che tanto di quello che udivo mi era familiare, molte cose le ritrovavo anche in canzoni pop o melodiche, oltre ai salmi che la nostra tradizione cristiana ci ha dato modo di conoscere.
In questo percorso però ciò che più mi ha affascinato è stato il racconto della pasqua e in particolare della cena per celebrare questa solenne festa.
Ogni elemento denso di significato pur nella sua apparente semplicità.
In tutti questi anni mi è rimasto nella mente e ogni tanto mi torna come un ritornello.
E mi è ritornato in maniera prepotente e quasi devastante con la sfida n 43 dell’MTC vinta dalla mia cara amica Francesca del blog Burro e zucchero (“era ora” mi sono detta!!!), dove oltre alla solita ricetta da rielaborare secondo una interpretazione personale, si chiedeva di lasciarsi ispirare per questa, da un testo letterario. Anziché di lasciarmi prendere dal panico per trovare un nesso tra questo e un muffin, mi si è ripresentato in testa il Seder leil Pesach con un’illuminazione fulminea di portare in un muffin tutti gli elementi che costituiscono la cena della pasqua ebraica.
Pesach è la pasqua, la festa principale per l’ebreo, che cade dal 15 al 21 del mese di Nisan(marzo-aprile), il primo di tutti i mesi.
E’ la celebrazione del  grande passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla tribolazione alla gioia, dal lutto alla festa, dalle tenebre alla luce, dall’oppressione alla redenzione.
Della durata di sette giorni, la prima sera di Pesach le famiglie si riuniscono attorno al tavolo apparecchiato con una tovaglia bianca e ricamata, nella stanza migliore della casa, seguendo in maniera minuziosa le regole del rituale, riportate nel Talmud e celebrano questa festa cominciando dalla lettura dell’Haggadàh, dopo che il commensale più giovane, a cui è riservato il primo intervento, intona il Mah nishtannah :
“Com'è diversa questa sera da tutte le altre sere!
Perché tutte le altre sere possiamo mangiare pane lievitato e azzimo e questa notte soltanto pane azzimo?
Perché tutte le altre sere possiamo mangiare ogni tipo di verdura e questa sera soltanto erbe amare?
Perché tutte le altre sere non intingiamo e questa sera due volte?
Perché tutte le altre sere mangiamo seduti e questa sera appoggiamo il gomito?”
Il celebrante inizia così la recita dell'Haggadàh, il lungo racconto dell'uscita degli ebrei dall'Egitto, arricchito da parabole e commenti e seguito poi dalla spiegazione dei cibi che compongono il piatto del Seder.
Vi sono: 
-tre azzimi, per ricordare il pane non lievitato mangiato nel deserto;
-una zampa di agnello per ricordare il sacrificio del popolo per uscire dalla schiavitù;
-l'erba amara, per ricordare l'amarezza provata durante la schiavitù;
-un uovo sodo,simbolo della vita come dono di Dio. Da ricordare che l'uovo non ha un inizio nè una fine, per cui la sua rotondità ci ricorda che la vita è un ciclo e tutto ciò che si è ricevuto si trasmette inesorabilmente ai propri figli. L'uovo rappresenta anche il carattere di Israele: quanto più viene cotto tanto più diventa duro,così per questo popolo l'oppressione è servita a rafforzare la sua natura e il suo carattere.
-il charoset, un impasto che simboleggia la malta con cui gli ebrei durante la schiavitù preparavano i mattoni, fatti di paglia e argilla, per costruire la città dei faraoni;
-l'aceto, per ricordare l'asprezza dell'oppressione;
-il sedano, che simboleggia la festa della primavera;
-il vino, simboleggia la festa per il dono della liberazione e della salvezza, servito per ogni commensale in quattro coppe differenti in ricordo della promessa riportata nel libro dell'Esodo: vi farò uscire, vi salverò, vi libererò, vi prenderò
 
Prepariamo prima il Charoset
2 mele
100 g di datteri
100 g di prugne secche
100 g di fichi secchi
150 ml di vino dolce
100 g di noci
100 g di mandorle

2 cucchiai di miele

1 arancia

Cannella
Ogni comunità e ogni famiglia  possiede la sua ricetta di charoset. E’ impossibile pretendere di conoscere quella originale! Questo il denominatore comune:  un impasto di frutta fresca, secca e semi oleosi, speziato, dalla consistenza simile a una marmellata.
Far rinvenire nel vino i datteri, i fichi e le prugne tritati finemente. Sbucciare le mele, grattugiarle unire i datteri, i fichi e le prugne far cuocere a fuoco dolce sulla fiamma più piccola, per 20 minuti.
A parte in un mixer o in un mortaio tritare finemente le mandorle e le noci tostate precedentemente in forno fino ad ottenere una farina, unirle alla frutta cotta aggiungere il miele e la cannella e impastare pestando con il dorso del cucchiaio contro la pentola e ammorbidire eventualmente con del succo di arancia fino ad ottenere la consistenza di una marmellata.
   
 
 

Prepariamo i muffins
300 g di farina
50 g di pecorino
1 uovo sodo
100 g di polpa di agnello
50 g di cicoria
Charoset
1 piccola costa di sedano
1 cucchiaio di aceto
180 ml di kefir
70 g di burro
2 uova
½ cucchiaino di sale
1 cucchiaino di pepe
8 g di lievito per salati
1 pizzico di bicarbonato

-Sistemare i pirottini di carta negli incavi della teglia da muffins 
-Mondare, lavare, asciugare e sminuzzare finemente la cicoria e il sedano 
-Pre-riscaldate il forno a 190°C modalità statica.
-In una padella rosolare l'agnello ridotto a cubetti, far intiepidire e tenere da parte.
-Fate sciogliere il burro a bagnomaria e tenere da parte.
-Ridurre a cubetti l'uovo sodo

Procedimento:
In una ciotola grande setacciare farina, lievito e bicarbonato. Aggiungete il formaggio grattugiato, i cubetti di agnello, la cicoria e il sedano sminuzzati, i cubetti di uovo sodo, il sale e il pepe macinato al momento. Mescolate bene, fare la fontana e tenete da parte. 
In una ciotola media sbattere le uova con lo yogurt e aggiungere il burro fuso, il cucchiaino di aceto  Amalgamare bene e versate il composto nella ciotola degli ingredienti secchi.
Con un cucchiaio mescolare BREVEMENTE, 10-11 giri solo per amalgamare gli ingredienti.
Riempire i pirottini per 2/3, mettendo al centro una cucchiaino di charoset, infornare, abbassare la temperatura a 180°C e cuocere per circa 20-25 minuti. Controllare la cottura con uno stecchino di legno.
Sfornare i muffins e distribuire sulla superficie di ognuno un piccolo pezzettino di burro che si scioglierà subito e la manterrà ancor più morbida.
Lasciarli riposare 5 minuti poi toglierli dalla teglia e farli raffreddare su una gratella.
Nota: ho dimenticato l'aggiunta del bicarbonato, ma questi muffins hanno avuto ugualmente una perfetta lievitazione.
Chissà se l'aceto ha dato il contributo per favorire questa.




Dopo la spiegazione del significato del piatto del Seder, si procede con la cena vera e propria, poi rituali, benedizioni e canti.

Il Canto di speranza, Chad gadva, penultimo prima del congedo finale, a noi ci è noto e vi chiedo di andare qui per ascoltare la versione originale.
Una speranza nella giustizia divina che vince sempre: ogni oppressore è oppresso a sua volta da chi è più potente fino ad arrivare all'angelo della morte che il suo superiore definitivo in Dio.

Shalom chaverìm, shalom chaveròt, leitraòt shalom.

 
Con questo post partecipo felice e soddisfatta alla sfida n 43 dell'Mtc della cara Francy del blog Burro e zucchero

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